Quanto si può essere “green”?

Quanto si può essere “green”?

Il tema è uno dei più discussi negli ultimi tempi, sia che si parli di ambiente in generale o di acque, la degenerazione della natura che ci sta intorno è sotto gli occhi di tutti ma cosa si fa e si può fare?

 

Un esempio: Patagonia e quello che ha proposto nella tavola rotonda durante la settimana della moda milanese.
L’azienda con sede a Ventura, California, è stata fondata nel 1973 da Yvon Chouinard ed è certificata come B-Corporation e ha come mission aziendale quella di “realizzare il prodotto migliore, non provocare danni inutili, utilizzare il business per ispirare e implementare soluzioni per la crisi ambientale”. Un impegno reale anche perché l’azienda finora ha evoluto quasi 90 milioni di dollari in sovvenzioni e donazioni di vario genere a gruppi che si battono per la tutela dell’ambiente.

 

 

ROMPERE IL PARADIGMA: COSA SIGNIFICA

 

Il tema non è facile infatti, l’universo della moda è in un certo senso “sporco”: come non pensare alla catena produttiva e a tutto il mondo del fast fashion che a oggi tanto piace e che però produce una notevole contenuto di rifiuti fatto di capi presi a poco prezzo e che quindi siamo spesso invogliati a cambiare spesso?

Nell’incontro organizzato da Patagonia sono intervenuti Luca Testoni, Editor in Chief di Pambianco (moderatore), Matteo Ward, giovane imprenditore fondatore del marchio WRAD, Marina Spadafora, Country Coordinator per Fashion Revolution e Mark Little, Global Product Line Director Men’s Sportswear and Surf Apparel Patagonia

A monte della filiera, la ricerca viene condotta sui filati, mentre tra le problematiche della supply chain emergono le questioni di valorizzazione degli stakeholder e del territorio. I marchi, da parte loro, sono sempre più alla ricerca di tessuti e filati sostenibili e sono più consapevoli dei problemi sociali e ambientali.

 

 

Fast fashion: serve?
Un esempio meritevole è quello di Matteo Ward, il giovane imprenditore che dopo aver lavorato diversi anni per un brand internazionale nel settore fashion, ha deciso di cambiare totalmente la sua vita e ha costruito il suo personale business come risposta alle pratiche distruttive impiegate dalla maggior parte dei brand di “fast fashion”. Grazie ad un innovativo studio sulla materia, ora la sua azienda tinge i capi della sua linea di abbigliamento con la grafite. “Ho iniziato una ricerca personale e professionale per capire quale fosse il reale costo dell’industria della moda: un cambiamento paradigmatico è ora necessario e si conquista attraverso informazione e innovazione”.

 

Da sinistra Marina Sdafora, Mark Little e Matteo Ward

 

Come può una maglietta costare 5 euro: responsabilità sociale
E proprio a proposito del fast fashion che ha invitato a riflettere Marina Spadafora soprattutto dopo la catastrofe del crollo del Rana Plaza e sulla responsabilità che i marchi detengono non solo nei confronti del pianeta, ma anche verso coloro che lavorano a monte della filiera produttiva. Marina ha spiegato come i consumatori che si pongono della domande scomode come, ad esempio, “Come può una T-Shirt costare solo 5 euro?” e il praticare un consumo più consapevole siano gli unici modi per andare avanti: “Deve diventare la norma e non l’eccezione e ciascuno deve ripensare il suo modo di vivere giornaliero”.

 

Noi possiamo cambiare
L’attività di Patagonia nasce quindi nel fornire da una parte trasparenza ai consumatori senza perdere mai di vista lo spirito che l’ha animata “Siamo coloro che stanno vivendo la rivoluzione e questo è il motivo per cui andiamo a lavorare tutti i giorni” ha spiegato Mark Little. “Amiamo i luoghi incontaminati, vogliamo proteggere i nostri fiumi e le risorse naturali del nostro pianeta, e per farlo dobbiamo sempre tendere un occhio verso dove veniamo e l’altro verso dove vogliamo andare. Ci chiediamo come consumiamo e perché lo facciamo”.

 

 

patagonia.com

MartaWLS

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